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    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS

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    Messaggio Da Scribacchino Mer 20 Gen - 10:24

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Warrio10

    Oramai erano trascorsi molti giorni da quando Gilthanas aveva inviato i falchi messaggeri in tutte le direzioni conosciute. La decisione di voler radunare le Lance da ogni dove oramai era stata presa, seppur con tanta speranza e grandi timori. Fu così che uno stormo di Falchi venne evocato con lo scopo di recapitare alle Lance disperse nelle terre il messaggio del loro antico taru. I falchi messaggeri, addestrati con antiche arti magiche avevano acquisito una grande peculiarità: bastava incidere sul bussolotto il nome del destinatario assieme ad una semplice formula magica, detta "di richiamo" e sarebbero partiti alla sua ricerca, come se si fosse trattato di percorrere un percorso verso un luogo già ben conosciuto. Resistenti alle intemperie, agili e silenziosi, questi rapaci forgiati nella magia si ritrovarono tutti appollaiati sui rami del grande albero Quenya di fronte all'abitazione temporanea dell'elfo. Il gran numero ne ricopriva tutti i lineamenti dando l'impressione di formare un unico e maestoso essere oscuro.

    Gilthanas aveva predisposto un cumulo di piccole pergamene riposte in un bussolotto che racchiudeva lo stesso messaggio destinato ad ogni Lancia combattente che nelle varie ere si era succeduta al suo fianco.
    Pochi istanti di silenzio, un gesto di invito e lo stormo si levò in aria quasi all'unisono. I falchi afferrarono con gli artigli il proprio bussolotto e sparirono rapidamente all'orizzonte stridendo.
    Tutto era ancora da scrivere e decidere ma un primo passo oramai era stato compiuto.

    Il messaggio affidato ai messaggeri era semplice ma riepilogava l'essenziale di tutto:

    La breccia dell'eterna vita e del potere è stata aperta.
    Chi dovesse riuscire a controllare l'Azoth inevitabilmente dominerà su ogni cosa.

    Le Lance non possono restare a guardare.
    I nani mi hanno indicato che la breccia è stata trovata nell'isola chiamata di "Aeternum".
    L'isola sconosciuta non è indicata in alcuna mappa ma ho contatti con persone che ci offriranno aiuto.
    Le voci si sono diffuse e la sete di potere ha fatto il resto
    spingendo numerose imbarcazioni ad intraprendere il viaggio verso la meta ignota,
    abbagliati dalla brama di controllare questa fonte magica.

    Ad oggi non risulta alcuna nave che sia riuscita a far ritorno dal viaggio, pertanto non sappiamo cosa ci attenderà.
    Sono venuto a conoscenza di una spedizione importante che prenderà il largo verso l'isola nel giorno del capodanno elfico,
    il giorno dell'equinozio di primavera del calendario degli uomini.
    Con un po' di fortuna e con le giuste conoscenze potremo arrivare in tempo per la partenza.
    Le navi partiranno da tutti i moli del nord nello stesso giorno e si daranno appuntamento dove convergono tutte le rotte
    per poi proseguire l'ultimo tratto assieme in flotta.
    Cercate mercantili che sventolano bandiera Vaktarna e mostrate all'equipaggio lo stemma della gilda.
    Vi offriranno un posto a bordo.

    Quando riceverai questa missiva io sarò già partito. Ho parecchie lune di distanza da percorrere prima ancora di imbarcarmi nel primo porto raggiungibile.
    Se tutto andrà bene e tu vorrai affrontare questa nuova Sfida, ci ritroveremo ancora una volta.
    Ognuno raduni quante più Lance riesce e parta in fretta.
    Dal momento in cui salperemo si stima un tragitto in mare di due mesi, ma non abbiamo certezze.
    Con il favore dei venti ci ritroveremo sull'isola, in qualche modo.
    Una volta li, ci riorganizzeremo e capiremo come poter difendere la breccia

    Alkar Echti
    Onore alle Lance
    .

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Sigill10

    Gilthanas prese la sua valigia fatta di scartoffie, l'immancabile "il libro dei Draghi", un diario di viaggio, qualche abito e delle pozioni. Infine indossò la collana di gilda e afferrò la pergamena arrotolata dello statuto, impolverata e ingiallita dagli anni. Per un istante si fermò a guardarla nel suo palmo, quasi a volerci ripensare, un istante dopo la infilò dentro con il resto della roba con determinazione. Ormai era tardi per i ripensamenti.
    Già i primi falchi dovevano essere giunti a destinazione.

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Falco11

    SE VUOI AGGIUNGERE A QUESTA NARRAZIONE LA TUA STORIA PERSONALE POSTALA DI SEGUITO. MI RACCOMANDO CERCA DI ESSERE SEMPRE IN ARMONIA CON IL RACCONTO PREGRESSO E CON LA LINEA TEMPORALE.

    SE VUOI INVECE CHE QUALCUNO NARRI DI TE NON TEMERE! SEMPRE IN QUESTO POST RISPONDI SCRIVENDO: RACCONTA DI ME!
    UN RACCONTASTORIE SI PRENDERA' IN CARICO LA TUA RICHIESTA E CONTATTANDOTI RACCOGLIERA' QUALCHE LINEA GUIDA PER SVILUPPARE IL TUO PARAGRAFO.

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    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Empty Re: LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS

    Messaggio Da Scribacchino Sab 6 Feb - 23:22

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS 25eabd10

    La mattinata era cominciata bene e Vanadis ne aveva approfittato per levarsi all'alba ed andare presto nel bosco a raccogliere funghi e frutti selvatici per i suoi piatti. Era un periodo piovoso e con le foglie del sottobosco umide e soffici sotto i piedi, camminare era un piacere. L'aria fresca, i versi degli animali e la rugiada raccolta sulle foglie rendeva tutto magicamente immersivo e piacevole. Nei suoi pressi una lepre che la guardava dalla distanza irto sulle zampe posteriori incuriosito. "Stai tranquilla lepre, non sono a caccia oggi" disse sorridendo Vanadis guardandola negli occhi. La lepre inclinò la testa con un'espressione di incomprensione e con due balzi si allontanò di poco. Vanadis aveva sempre voluto vivere nei pressi di un bosco incontaminato per stare il più possibile a contatto con la natura. Le guerre, il sangue, le urla di battaglia oramai erano un vago ricordo. Non aveva tuttavia smesso di addestrarsi: un paglione vicino la sua casetta di tronchi continuava ad essere utile per migliorare le sue scoccate e perfezionare le frecce che si autoproduceva. Ora però i suoi obiettivi erano al massimo dei cinghiali o delle lepri nel bosco e raramente qualche lupo che si avvicinava troppo alle sue staccionate.
    Non era mai stata esperta di agricoltura anche se per fornirsi un piccolo sostentamento aveva abbozzato un piccolo orticello personale. Qualche insegnamento del vecchio amico Bianco. Vecchi ricordi di tempi passati.

    "Ma cosa credi che venga su da li? Se non prepari la terra  prima verranno su tutte rachitiche" disse Bianco un giorno nelle piane di Dewstone rivolgendosi a lei con la sua amabile voce roca.
    "Signor Bianco, mi stava spiando per caso? Lo sa che non sono una contadina. Mi chieda di salirci su di un albero ma non di farlo crescere" rispose leggermente piccata.
    "Su su non cominciare come al solito,  osserva e impara"  disse Bianco con un tono paterno, afferrando una zappa dal terreno. 
    Fu così che Bianco scavò profondamente, una solco profondo senza risparmiarsi. Scavò e scavò molto più di quanto poteva colmare la piantina li destinata distruggendo le zolle e rendendo il terreno soffice.
    Poi disse: "Va dal ragazzo della stalla, digli che ti mando io e portami qui del concio fresco".

    Vanadis non rispose, annuì e si recò dal biondino contadinello che aiutava bianco a manutenere i campi di gilda. Vanadis sorrise come al solito con gentilezza e disse:
    "Salve, mi manda il Signor Bianco, mi chiedeva se mi poteva dare un po' di concio per alcune piantine". Il ragazzo guardò Vanadis dall'alto al basso basito: era strano vedere una guerriera in una stalla da lui a chiedergli una cosa del genere. Poteva essere vero? "Mi ha sentita?" sferzò Vanadis. Il giovane si destò d'improvviso e balbettò:
    "ss-si, ss-si certo provvedo subito". Corse nel retro, afferrò un forcone e lavorò rapidamente tra le mucche. Tornò trasportando un secchio di legno contenente del materiale nerastro e lo porse a Vanadis dicendo: "Prego lady Vanadis, questo è lo sterco che mi ha chiesto". Fu in quel momento che Vanadis capì il significato del sorrisetto del Signor Bianco che l'aveva mandata li. Ma non poteva certo ora tirarsi indietro. "Grazie ragazzo", prese il secchio e con una smorfia afferrò il manico e si incamminò nuovamente verso casa sua.

    Quando Bianco la vide ritornare non le diede neanche modo di parlare e disse:
    "Ooohhh! Ecco finalmente l'ingrediente segreto di ogni contadino che si rispetti: del sano Concio fresco di vacca, o letame o sterco. Cosa c'è di meglio per far crescere rigogliose le piante?  Senti che aroma!" e sorridendo prese il secchio ne versò parte del contenuto nella fossa scavata, ricoprì di terra ci mise la piantina e con una carezza a due mani sistemò la terra attorno alla pianta. Le piante crebbero alte e rigogliose e diedero molti frutti. In realtà di nascosto qualche volta lui andava nell'orticello a controllarle e a dargli qualche aggiustatina.

    Bianco, o Signor Bianco, come tutti solevano chiamarlo per la sua età, oramai era un veterano tra le Lance.  Era difficile classificarlo se guerriero, saggio, mago o esperto di produzione di idromele. Era semplicemente il "Signor Bianco" e tutti lo rispettavano e lo proteggevano. La sua preparazione era indubbia su tutto e il suo passatempo preferito oramai era far arrabbiare Gilthanas. - Ah! Quante volte sono stati ore a dibattere per via di una mezza moneta sprecata! Gilthanas ne pensava mille, organizzava traversate, guerre, costruzione di strade, castelli e ponti e per lui mezza moneta non significava nulla. Bianco però non la pensava così e continuamente lo riprendeva su questi che lui chiamava "sprechi imperdonabili". Una volta dopo l'ennesimo confronto tra i due che si concluse con un lungo broncio, per scherno inviò a Gilthanas un sacco con duemila monete d'oro con dentro un biglietto:
    "Sprecone di un elfo, con quella mezza moneta risparmiata ogni giorno, per due anni ti rendo ciò che di diritto è delle Lance". Quella storia fece il giro del paese e da quel momento si crearono delle divisioni tra opinioni, tra chi era per Gilthanas-mani-bucate e chi era per Bianco-braccino-corto. Ma alla fine avevano forse tutti e due ragione.

    Oramai combattere per lui era diventato difficile dall'ultima guerra in cui stava quasi per perdere la vita. Il castello era sotto assedio da troppo tempo e dopo il grande boato delle mura nord che crollavano arrivò l'urlo dell'elfo che ordinava la ritirata. Le Lance furono costrette a ripiegare dopo aver estenuamente difeso le mura di Calmlands. Tutti si spinsero verso la breccia a sud come da piano concordato per poter raggiungere le navi attraccate e pronte per partire. Il gruppo si mosse rapidamente uscendo dai passaggi conosciuti. I cavalli erano già sellati e pronti a partire. Ognuno ci salì sopra a coppie e ognuno sferzò il suo cavallo per partire. Bianco restò  indietro e quando riuscì a salirci cadde rovinosamente con tutto il cavallo: Un mago dal  torrione aveva lanciato una saetta che mancò Bianco ma che colpì la bestia.
    Bianco allora corse rapidamente per allontanarsi. Gli assalitori stavano per raggiungerlo ma Giullare che aveva visto l'accaduto lo raccolse al volo e lo issò sul suo cavallo in corsa. Bianco si trovò in groppa dietro il compagno di gilda ma una sfortunata freccia gli penetrò l'occhio proprio in quell'istante e un terribile urlo di dolore echeggiò nel fragore della guerra.  Bianco ricadde a terra insanguinato. Il gruppo si ricompattò, alcuni fecero da scudo, Diabolikus lo rivoltò da terra per accertarsi delle sue condizioni. La freccia era entrata e uscita lateralmente, l'occhio era totalmente saltato via e il mago perse i sensi. Persefone era li, guardò rapidamente la ferita che grondava sangue a fiotti. Avvicinò la mano che emanò luce intensa e il sangue cessò di fuoriuscire, poi alzò lo sguardo verso il cavaliere e disse:
    "Diabo portalo sulla barca più in fretta che puoi, vedremo cosa potrò fare una volta a bordo" .
    Diabolikus annuì, issò immediatamente il ferito sul cavallo e corsero verso le navi. Una volta a bordo Persefone si mosse subito a soccorrere il vecchio mago. Utilizzò tutte le forze residue per salvarlo esausta dal combattimento appena concluso. Riuscì a salvargli la vita ma purtroppo il suo occhio andò perso per sempre.  Tuttavia Signorbianco era salvo, rinvenendo si vide attorniato dai suoi amici e con un tono calmo disse con flebile voce:
    - Portatemi dell'idromele che ho sete.
    e tutti esplosero in una risata liberatoria.
    Da quel momento anche chi tra i giovani novizi lo scherniva per la sua età, gli portò un profondo rispetto.

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS C0188910
    Vanadis non era una contadina ma applicò sempre i suoi consigli e fu così che riuscì anni dopo a organizzare il suo orto con buoni risultati. Certo le sarebbe piaciuto riavere Signor Bianco vicino ancora una volta per chiedergli tante cose. Ma oramai le loro strade si erano divise. Oramai erano tutte le Lance erano lontane. Chissà semmai un giorno qualcosa sarebbe cambiato. Una speranza che man mano che passava il tempo sembrava divenire sempre più remota.
    Intanto all'orizzonte si intravedeva un temporale in arrivo e il cesto oramai traboccava. Vanadis lo raccolse e si incamminò verso la strada di casa: muovendosi subito ce l'avrebbe fatta ad evitare un bagno. Fu in quel momento che sentì un urlo provenire dal fitto del bosco.

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    Messaggio Da Scribacchino Dom 7 Feb - 13:46

    Vanadis non titubò neanche un attimo, appoggiò rapidamente il cesto a terra, si coprì con il mantello per mimetizzarsi e si incamminò rapida e silenziosa verso l'origine di quel grido.
    Nascosta dietro un albero riuscì ad intravedere due omoni imponenti, apparentemente banditi tagliagole, che indossavano armature in cuoio borchiato. Uno dei due appariva più goffo e tozzo mentre l'altro appariva più longilineo e muscoloso. Poco lontani da loro, in una sorta di accampamento improvvisato, due cavalli e una ragazza legata, avvolta all'altezza del busto ad una grossa corda che le impediva qualsiasi movimento degli arti superiori. Indossava abiti abbastanza signorili ma infangati e apparentemente logorati da un lungo viaggio.
    Le gambe erano libere ma era legata ad una robusta corda che la bloccava che giungeva ai finimenti di uno dei due cavalli..
    "Sta ferma stupida ragazzina, inutile che corri non puoi andare da nessuna parte" disse un tipo robusto e spettinato mentre cercava di trattenere la ragazza. L'altro dei due nel mentre stava invece provvedendo a slegare la corda e a legarla ad un grosso albero.
    "Lasciatemi andare vi prego!" urlò ancora la ragazza. Ma i due non diedero cenno neanche di ascoltarla. La ragazza però cambiò improvvisamente espressione intravedendo un barlume di speranza nel momento esatto in cui la corda era attorno al tronco ma il nodo era ancora stato stretto: balzò immediatamente in piedi, prese la rincorsa e puntò l'aggressore vicino l'albero intento a creare il nodo. Utilizzando la sua testa come fosse un ariete verso la schiena dell'aggressore lo colpì con tutta la sua forza e ricadde sul suo fondoschiena per la violenza dell'impatto. L'uomo perse l'equilibrio emettendo un gemito di dolore e cadde in avanti stringendo la corda tra le sue mani callose.
    "Maledetta sgualdrina!" Disse il goffo, sguainando una spada e portandosi rapidamente verso la ragazza.
    "Ora non camminerai più!" e caricò il braccio per prepararsi a colpire le gambe della ragazza con un ampio fendente laterale. Ma il colpo non arrivò mai. Una freccia colpì il braccio dell'aggressore che urlò e lasciò cadere l'arma. Vanadis dopo aver scoccato la freccia si portò rapidamente sulla ragazza e le mise in mano un pugnale. I suoi occhi e quelli suoi si incrociarono per un istante. Un istante in cui lei trasmise a Vanadis tutta la sua paura e Vanadis tutta la sua determinazione. Intanto il bandito muscoloso si era rialzato e brandendo un'ascia da guerra sulla sua testa si lanciò verso la guerriera.
    "Maledetta! Lasciaci in pace!" Urlò correndo.
    Se Vanadis avesse evitato il colpo, sarebbe finito sulla fanciulla. Pertanto valutò di contrattaccare per cercare di fargli perdere l'equilibrio. Rotolò verso di lui, finendogli davanti le gambe in corsa, afferrò le sue caviglie spingendole in avanti e l'uomo cadde su se stesso superando Vanadis per terra. A quel punto lei estrasse la lama da caccia e si mise in posizione di attacco. Il bandito sembrò improvvisamente temere quella donna. Dai movimenti e dal modo in cui si era posizionata davanti a lui dimostrava chiaramente di essere una guerriera e non una sventurata persa nel bosco. Si mise in piedi ma indietreggiò leggermente riprendendo anche lui una posizione di attacco. I due si scrutarono negli occhi alla ricerca di una rispettiva debolezza nella difesa mentre si muovevano con piccoli passi laterali, ma ad ogni accenno di movimento l'altro si preparava al contrattacco. La cosa andò avanti per qualche istante sino a quando l'uomo avvertì di aver toccato con la caviglia la corda della fanciulla. Un istante solo di distrazione, l'uomo si voltò per vedere e Vanadis si buttò sull'uomo mettendogli la mano sinistra sul volto e con la destra gli recise profondamente la gola in un rantolo di dolore. Cadde a terra in una pozza di sangue inerme.
    Il goffo assisteva dolorante alla scena. Vanadis si voltò verso di lui. E improvvisamente disse piangendo:
    "Lasciami andare, io sono solo qui per soldi, mi avevano promesso una ricompensa per aver rapito la ragazza ma non sono cattivo, lasciami andare!" disse unendo le mani davanti al viso.
    "Bastardo hai ucciso mio padre" Disse la fanciulla con uno stridio di dolore e pianto.
    Vanadis era una guerriera, ma era anche una Lancia. Uccidere un uomo disperato che chiede pietà non faceva parte dei suoi insegnamenti. Si voltò verso la ragazza e notò solo ora il suo volto tumefatto da colpi violenti. Il suo labbro era spaccato e l'occhio destro violaceo. Vanadis cambiò presa alla lama per affondare il colpo. Un istante, la fanciulla gridò chiudendo gli occhi, l'uomo emise un urlo agghiacciante e disperato e la lama si conficcò sul piede dell'uomo piantandolo per terra.
    "Non ti ucciderò" disse "Sciogliamo questi nodi" disse poi rivolgendosi maternamente alla ragazza. Rapidamente slegò la prigioniera e utilizzò la corda per legare mani e collo dell'uomo ad un albero.
    Poi tornando sulla ragazza e porgendogli la mano disse: "Vieni con me" e lei senza dire nulla accettò l'invito rispondendo con la voce di lacrime "Grazie".
    Vanadis diede un forte schiaffo ad uno dei cavalli che corse nel bosco mentre salì sull'altro e tirando su la fanciulla dietro di lei. Poi si rivolse con lo sguardo nuovamente all'uomo e disse:
    "Non sarò io ad uccederti" .
    "Non lasciarmi qui! No, non lasciarmi qui! Liberami sgualdrina! Te ne pentirai, te ne pentirai"
    E partirono al galoppo nel bosco. Cominciò a piovere e i passi del cavallo diventarono pesanti e lenti ma erano a buon punto. La piccola casa con il comignolo si cominciava a scorgere.
    "Siamo quasi arrivati piccola" disse Vanadis alla ragazza che la stringeva forte ai fianchi. Nel sentiero buio una luce azzurrastra le tagliò la strada. Per un attimo pensò di essersi sbagliata. Poi di nuovo la luce gli attraversò nuovamente la strada. Cosa stava succedendo? Poi sentì un verso di un falco. Si aprì la radura davanti a loro e su di un tronco di albero tagliato davanti a loro c'era un falco. Non un falco qualunque, brillava di una luce magica, una luce che le fece riaffiorare antichi ricordi. Il falco la stava aspettando. Acquattato, in attesa del suo arrivo con un bussolotto tra i suoi artigli.
    "Cos'è?" chiese la fanciulla a Vanadis "E' tuo? Sembra ti aspetti?"
    "No, non è mio" Rispose Vanadis "E' un messaggero ma forse conosco il suo padrone" e concluse sforzando un colpetto di talloni al cavallo per avanzare più rapidamente...

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    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Empty Re: LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS

    Messaggio Da Melusine Dom 7 Feb - 14:20

    Il tempo era passato con estrema lentezza.
    Nel corso del suo percorso di vita Melusine era abituata ad un ritmo frenetico, composto da relazioni sociali che non donavano spesso l'ebrezza del riposo, e combattimenti al cardiopalma a filo di respiro.
    Una vita pesante ma appagante, in grado di soddisfarla abbastanza per farla sorridere ad ogni alba.

    Gli ultimi anni invece erano stati abbastanza tranquilli, monotoni, privi di interesse.
    Si era ritirata sui monti, in un villaggio rurale lontano dall'odore del sangue delle battaglie, per riposare la mente e sedare il bollore delle ultime guerre. Per quanto quella vita soddisfacesse il suo io più dolce, la sua magia vibrava nelle orecchie musica ribelle.
    Lontano dagli sguardi della gente, nel segreto delle foreste, la luce della sua magia risplendeva nelle notti di luna come per liberare un'anima che urlava l'inno delle Lance pronte ad assaltare il nemico.
    In quegli attimi si sentiva libera, felice, coraggiosa ma anche... impaurita.
    Ogni volta che liberava i suoi poteri una morsa si stringeva nel suo cuore. Il volto delle Lance sul campo di battaglia, l'espressione di Gilthanas sulle carte geografiche di un'invasione, il sangue sulle corazze che rispondevano al sole.
    Allora il suo volto tornava cupo e la sua espressione appassiva, mentre le braccia tiravano su lo scialle di seta sulle spalle nude.
    Si era ritirata proprio per quelle visioni, per quel peso che struggeva anche l'animo più forte, perché non poteva più vedere i suoi compagni soffrire le battaglie di guerre di potere.

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS 1807fe10

    Passo dopo passo, sul sentiero della via verso casa, il pensiero cadde nuovamente a quei momenti. In mezzo al sangue e alle guerre però, vi era la gioia di campi coltivate, di susine che risplendevano al sole d'estate, di arnie e otri di vino della gilda. Vi era un grande senso di vuoto e nostalgia di quei momenti, sensazioni che solo la luna piena poteva rischiarare.
    I contatti con gli altri gildani erano davvero datati anche se un po' per nostalgia, un po' per affinità, aveva continuato ad avere un legame epistolare con Vanadis. Lettere alle volte interminabili con le quali ci si raccontava, ci si ringraziava e magari ci si ricordava di vecchi aneddoti vissuti assieme. Solitamente una scriveva all'altra mensilmente in una sorta di turnazione non scritta. Era quasi un appuntamento che scandiva i mesi che passavano. L'ultima che Melusine le scrisse era abbastanza sintetica perchè in effetti in quel posto ce n'erano poche di novità da raccontare ma anche in quelle situazioni era bello riuscire a trovare il momento per scambiarsi dei pensieri:

    Cara Vanadis,
    l'inverno ormai è giunto e quest'anno è davvero rigido. Non ti nascondo che in un paio di circostanze ho dovuto addirittura usare qualche trucchetto magico per riscaldare la casa perchè davvero la legna non voleva saperne di accendersi...ma non lo dico a nessuno tranquilla! Seguo il tuo consiglio di evitare di pubblicizzare le arti magiche per evitare la fila dietro alla porta di casa. Tu pensa che l'altro giorno un bambino mi ha vista mentre trasportavo la legna in casa ed avendo le mani occupate ho chiesto "all'amico vento" di fare al posto mio. La porta si è spalancata permettendomi di entrare ma, credimi, si è spalancata di più la bocca del fanciullo... L'indomani è tornato da me tirando la madre dalla mano indicandomi con il dito. Sua madre mi ha chiesto se fossi una maga o una strega o da quale mondo venissi perchè suo figlio le ha riferito di averla vista aprire la porta senza le mani... Ovviamente guardandola basita e divertita le ho risposto: "Mia Signora, chieda a suo figlio da che mondo fantastico arrivo, perchè è sicuramente nella sua mente". La signora chiese scusa e strattonò il figlio rimproverandolo severamente... povero piccolo...punito per aver detto la verità...
    Qui tutto tace, la gente sembra assorta in una lenta ruota che prosegue costantemente in avanti. Ognuno vive la sua vita non curandosi di tutto ciò che succede fuori da qui. Se solo sapessero quante forze oscure, quante battaglie abbiamo affrontato e quanti posti maledetti ci sono...
    Non ho notizie di nessuno oramai da tempo, hai notizie di Diascarlet? Il nostro Giullare sai in quale paese è finito? Maurus combatte ancora? Dai fammi sapere qualcosa. So che Gilthanas dopo l'addio che ci diede sembra svanito nel nulla. Chissà se riusciremo a ritrovarci. Che ne dici se un giorno non organizziamo una visita? In primavera partono alcune derrate verso ovest, potrei unirmi a loro e credo che in meno di un mese potrei raggiungerti. Che ne dici? Sarebbe magnifico!
    Ora ti saluto, attendo con impazienza la tua prossima lettera. Ti saluto! O come diceva sempre Gilthanas Quel fara! Buona caccia!


    Stranamente però dall'ultima lettera erano passati due mesi ma Melusine non ricevette alcuna risposta. Inizialmente non si preoccupo' più di tanto perchè altre volte era già successo. Stavolta però uno strano presagio la colse quando vide arrivare il carro con le consegne che non si fermo' da lei neanche stavolta.
    "Che le sia successo qualcosa?" pensò in preda alla preoccupazione.
    "Si, sicuramente le è successo qualcosa, devo raggiungerla".

    Tornò a passo veloce verso casa, sbattè la porta alle sue spalle e prese la valigia per organizzare una partenza. Mentre rovistava nei bauli trasalì improvvisamente quando vide davanti alla finestra un falco che colpiva sul vetro e strideva per attirare l'attenzione. Bastò un istante per avvertire la sua aura magica che da brava maga aveva oramai imparato a distinguere chiaramente. Capì che era un falco messaggero.
    Aprì la finestra e vide subito il messaggio tra i suoi artigli che si aprirono immediatamente per lasciare la presa.
    Aprì immediatamente il bossolotto senza fiatare e lesse la piccola pergamena riconoscendo subito il sigillo e calligrafia del Taru. Istintivamente, ancor prima di capire ciò che stava leggendo, sorrise naturale e spontanea, gettata tutto d'un tratto in un mare di ricordi e calore nel petto.
    Le Lance stavano intonando il loro canto. Probabilmente, pensò rassicurandosi, Vanadis aveva ricevuto lo stesso messaggio.

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    Messaggio Da Scribacchino Dom 7 Feb - 16:42

    Ormai erano passati molti anni dall'ultima guerra che le Lance avevano combattuto. Tutto era cambiato. Dopo la partenza di Gilthanas le Lance si allontanarono, ognuna portava con se il proprio fardello di esperienze, avventure e lotte.

    Giuphas era conosciuto da pochi in paese come "colui che vive solo lassù", Giuphas appunto. Sul pendio del grande monte Scettro, chiamato così per la sua aguzza punta a 4 punte in cerchio, viveva abbarbicato in una casetta in legno attorniata da qualche recinto e un piccolo orto, un uomo mesto senza un apparente passato che non conosceva alcuno degli abitanti del paese.

    Poi attorno alla sua botteguccia rinchiusi in una recinzione in legno vi erano qualche maiale e un piccolo pollaio da cui ottenere uova e di tanto in tanto qualche gallina per una minestra. La casa era stata rimessa su da lui stesso, partendo da un piccolo rifugio abbandonato da cui null'altro si poteva trarre.
    Viveva senza contatti con nessuno se non con le sue bestie con cui non di rado dibatteva come se fossero umane. Alcune di esse infatti rappresentavano un po' i suoi compagni di vita, come fossero membri di una famiglia. Ad ognuna di esse aveva attribuito un nome che riportava alla mente antichi ricordi: Fabila, la mucca da cui si riforniva di latte, Volperossa il suo gatto peloso e grasso, e Nuvola, la sua cagnetta meticcia e sempre allegra e infine c'era Haston, il suo asino. Giuphas viveva appartato e schivo, indossava vesti umili e calde, nella sua casetta lontana dai centri abitati. La prima cittadina distava a non meno di due giornate di cammino e di lui in paese in pochi o nessuno di fatto conosceva il suo passato. Alcuni lo ritenevano un vecchio pazzo, altri asserivano di averlo visto in volto negando il fatto che fosse vecchio, ma non contraddicevano nessuno per l'appellativo di pazzo.

    Alcuni dicevano che si trattava di quel cavaliere che un giorno si fermò in paese per rifornirsi prima di ripartire, ma pochi credevano a questa versione.

    In effetti qualche inverno prima un cavaliere giunse con un enorme cavallo nero, protetto da un grosso mantello sulle spalle e sulla testa che gli ricadeva sul volto nascondendolo. Comprò un carretto e lo legò ai finimenti del cavallo: lo caricò di ferri da lavoro, bauli, bottiglie, pani, carni secche, formaggi e qualche liquore, insomma più di quanto in effetti la sua povera bestia potesse sopportare. Pagò con monete d'oro e sparì senza dare spiegazioni. Le monete scintillanti, svuotate dal sacchetto di pelle in cui erano contenute, riportavano sul dorso il simbolo del regno di Auroria.

    "Andiamo Rauros, è ancora presto per riposare" disse quell'uomo al cavallo prima di ripartire. Ecco, taluni dissero che si trattava della stessa persona che poi era stata vista aggirarsi in quella zona di montagna, ma poi le ipotesi vennero meno quando alcuni testimoni riferirono di aver visto un vecchio. Quel cavaliere non era vecchio: lo si capì dal modo in cui scese da cavallo, da come caricò la merce sul carro e da come si rivolse alla bestia comandandola.

    Nessuno conosce il perchè di quella scelta, ma di fatto quel cavaliere era lui.

    Le sue giornate iniziavano presto, fin dai primi chiarori dell'alba e finivano al calar del sole, quando le ossa e i muscoli, sfiniti dal lavoro fisico, gli suggerivano di rientrare. Poi il tempo di cenare con della carne di qualche porco sacrificato per l'inverno, una abbondante brocca di birra che si preparava da solo e un po' di erba pipa da consumare davanti al fuoco del camino sino a quando gli occhi non gli si serravano in volto riportandolo al giorno seguente nel tepore del fumo. Non di rado capitava che il malcapitato si svegliasse in piena notte nel bel mezzo della stanza con le gambe all'aria per un ribaltone che durante il sonno lo risvegliava con il volto sul pavimento di legno. La casa all'interno era tappezzata di pelli di animali appese qua e la, un grosso pentolone ammaccato vicino ad un ingombrante camino in pietra, un tavolo grezzo ma solido al centro della stanza principale e in un angolo un vecchio baule rinforzato che quasi stonava con il resto dell'abitazione poco rifinita. Vicino al camino una comoda poltrona ricoperta di pelle di orso che riportava qualche bruciatura e che a prima vista riportava la sagoma dello stesso proprietario che a furia di servirsene l'aveva modellata con il peso del suo corpo.
    Era un pomeriggio quando Nuvola cominciò ad abbaiare nervosamente.
    "Piantala Nuvola! Che c'è? Non c'è nessuno" borbottò Giuphas.
    "Fammi dormire stamattina mi sono svegliato troppo presto" è indirizzò una scarpa al cane dal suo letto.
    Ma il cane non si fermò, anzi rientrò in casa, afferrò la sua coperta tirandola via.
    "Santi numi! Ho capito vengo a vedere! Un momento!"
    Giuphas uscì e vide un bellissimo falco appoggiato sulla testa del suo spaventapasseri.
    "E che ci fai tu qui?" si chiese curioso Giuphas mentre Nuvola ringhiava.
    Il Falco diede due colpi di ali restando appoggiato e lasciò cadere un bussolotto. Lui lo raccolse e il falco volò finalmente via. Nuvola lo seduì abbaiando come per scacciarlo per sempre.
    Giuphas afferrò il bussolotto e lo esaminò tra le mani. Vi scorse un nome inciso sopra.  Un nome che era tempo che non leggeva:
    Diabolikus

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    Messaggio Da DiaScarleT Lun 8 Feb - 19:57

    Il sole splendeva alto alla Growlgate Isle e Diascarlet, seduta su una roccia, guardava i giovani pirati affinare le tecniche di combattimento duellando tra di loro. Era passato ormai un secolo dalle Calmlands, tutto era cambiato e le Lance, pur tenendosi in contatto, avevano preso ognuno la propria strada. Diascarlet era ormai solo un vecchio healer. Erano passati i tempi, quando insieme ad altre Lance, usava i semi della trasformazione e si lanciava nella battaglia, i ricordi affiorano e si susseguono, si rivede in tutte le battaglie, in tutte le vittorie e poi si rivede mentre sconfitta e delusa, piange ai piedi della lodstone abbattuta. Il suono dell'allarme la riporta alla realtà, Morpheus chiama a raccolta, i nemici sono giunti sull'isola intenzionati a rubare il tesoro. In un attimo tutti i pirati diventano seri e come un unico corpo si schierano a protezione del sovrano e del tesoro. La battaglia è aspra e feroce e Diascarlet con gli altri healer mettono in campo tutte le loro abilità mediche per curare i loro soldati. Per quasi un'ora sull'isola la battaglia non si ferma, fino a quando Morpheus, coperto dal suo esercito e dai suoi mitici cannoni, non riesce a salpare portando con se il tesoro. Un po alla volte la battaglia si placa, senza più lo scopo per combattere il nemico piano piano arretra e abbandona l'isola. E' fatta, il tesoro è salvo e Morpheus avrà già raggiunto la sua amata Rangora sull'isola di Freedrich. E' finita, i pirati si riuniscono nella sala grande a bere. Diascarlet si sofferma sulla spiaggia a scrutare il mare e l' orizzonte quando all'improvviso scorge qualcosa nel cielo che si avvicina...Corpo di mille balene, un falco!

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Falco_10


    Cosa ci faceva un falco così lontano dalla terra ferma? Come aveva fatto ad arrivare fin la"? Diascarlet, non poteva credere ai suoi occhi e continua a fissarlo incredula fino a quando il falco si poggia su un relitto proprio accanto a lei. Fu allora che  notò il bussolotto luccicare tra le sue zampe, e allora capì...era un messaggero magico che poteva provenire solo da un luogo. Diascarlet non vedeva più la sua Gweonid da molto tempo, tutto ciò che la legava al suo territorio, alla sua amata foresta e alla sua gente, era svanito dopo le Calmlands. Il tradimento dei suoi simili era stato grande, per questo lei aveva scelto la vita da pirata " Di loro, diceva, sai cosa aspettarti". E adesso il falco veniva certamente da li. Ma chi? Serviva una risposta. Diascarlet si avvicinò e afferrò il bussolotto, lo apri e la prima cosa che lesse fu la firma sul messaggio in esso contenuto, era il Taru. Le Lance erano tutte chiamate a raccolta, c'era una nuova avventura all'orizzonte, per Diascarlet era tempo di fare le valige, finì di leggere il messaggio e, guardando il mare sottovoce disse : "qua sono".


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    Messaggio Da Persefone Mar 9 Feb - 11:49

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS 02d92410

    Persefone camminava spedita percorrendo il lato lungo del chiostro, troppo distratta dal ronzio dei suoi pensieri per notare quello delle numerose api sui cespugli di ibiscus. Il chiosto era davvero bello a quell’ora del giorno, con il sole allo zenith e l’acqua della fontana centrale che gorgogliava allegramente.
    Persefone si lasciò il chiostro alle spalle e svoltò a sinistra nel corridoio che portava alla cattedrale quando improvvisamente scorse una sagoma ben nota che giungeva dal senso opposo… era Amalia, la Rector dell’Accademia! Con un moto di disgusto e fastidio e con il favore della penombra,  Persefone scivolò rapida in una nicchia laterale, completamente in ombra e lasciò che Amalia passasse oltre senza accorgersi della sua presenza. Si sentì un po’ vile, ma non poteva reggere un altro scontro con lei, non in quel momento. Uscì cauta dal suo nascondiglio e ripartì rapida alla volta dell’Accademia, dove si sarebbe tenuta la sua lezione di Ars Medendi, ossia Arti Curative.
    Attraversò la maestosa cattedrale, il giardino delle rose e l’orto delle erbe officinali e finalmente giunse all’Accademia… in ritardo come al solito! La sua aula era al piano terra, con le finestre che si affacciavano sull’orto delle erbe officinali, era il posto giusto per le sue lezioni, la aiutava a mantenere saldo il suo collegamento con la terra, con l’energia che ne traeva per le cure magiche, nonché i frutti per le cure classiche. I giovani adepti erano già tutti presenti e quanto entrò nella stanza la salutarono in coro “Ave Magister” con un sorrisetto divertito. Persefone rispose al saluto, si scusò per il ritardo e cominciò subito la lezione sulle “cure magiche di gruppo” prevista per quel giorno.
    Persefone era arrivata all’Accademia molti anni prima, sola, confusa e reduce di molte battaglie. Amalia, che al tempo era Magister Ars Medendi, vide Persefone vagare spersa lungo i vicoli di Valencia, la grande citta dove risiede l’Accademia. Si accorse subito che c’era del potere in quella giovane donna confusa, anche se annebbiato. L’accolse con sé, l’aiutò a ritrovare forze e lucidità, ma non riuscì mai a far riaffiorare i ricordi del suo passato, tutti i tentativi furono vani, il passato di Persefone restava misterioso. A volte la sentiva lamentarsi nel sonno, chiamare nomi strani con voce angiosciata, nomi come “Urano” e “Vanadis” e molti altri, ma al risveglio tornava al suo oblio inaccessibile. Amalia nominò Persefone sua assistente e fin da subito diede prova di notevole talento curativo, era chiaro che ne aveva già avuto esperienza in passato.
    Gli anni passarono e Amalia fu nominata Rector dell’Accademia quando l’anziano Rector Marius si ritirò per l’età avanzata restando come Magister emerito. Restava dunque vacante la cattedra di Magister Ars Medendi che fu affidata a Persefone, candidata più promettente e talentuosa.
    “Magister!” chiamò all’improvviso Haston, l’alunno più fastidioso del corso.
    “Si, Haston, dimmi pure” rispose Persefone.
    “Perché non riesco a fare il secondo incantesimo di cura di gruppo? Dopo il primo mi blocco sempre, il secondo non riesco a castarlo”.
    Persefone strabuzzò gli occhi, guardò il soffitto decorato con esasperazione e rispose sospirando: “Haston, davvero me lo stai chiedendo di nuovo? Allora… anzi no! Ragazzi, tutti in coro, rispondete voi!”
    E la classe intera intonò: “PERCHE’ NON HAI FATTO IL PRE-INCANTESIMO PER AMPLIARE IL TUO MANA PRIMA DI CASTARE GLI INCANTESIMI CURATIVI DI GRUPPO!”
    Haston arrossì violentemente ed abbassò lo sguardo.
    “Haston, ragazzo mio, sei davvero sicuro di voler diventare un curatore? Ti vedrei meglio come arciere…”
    A Persefone piaceva insegnare, sperimentare e, ovviamente, aiutare con le sue cure tutti i bisognosi. Valencia era una grande città, con una moltitudine di persone che avevano bisogno di cure, dalle unghie incarnite alle possessioni demoniache, ai curatori restavano poche occasioni per l’ozio e Persefone non si tirava indietro mai, come diceva sempre lei “Affronto un Drago alla volta!”.
    La lezione giunse al termine senza altri intoppi e Persefone si recò alla mensa per il pranzo, dove si sedette al tavolo con gli altri Magister e mangiò chiacchierando serenamente. Aveva il pomeriggio stranamente  libero da impegni, quindi si recò in biblioteca, dove amava passare il suo tempo, in mezzo ai libri, suoi amati e fedeli  compagni. Si sedette al suo tavolo preferito, quello più appartato che gli garantiva tranquillità, vicino alla finestra dai vetri  colorati che riflettevano calde ombre gialle e rosse sulle pagine dei libri.
    Era immersa nella lettura di un testo di cure antiche, quando un brivido le corse sulla nuca e sollevò il capo di scatto. Due piccoli occhi neri ed un becco aguzzo la fissavano da dietro il vetro colorato della finestra e il brivido si trasformò in vertigine, una vertigine che la travolse come un’onda. Le mancò il respiro per un attimo, la mano esitò un momento prima di aprire la finestra, poi si fece coraggio ed aprì. Il falco saltellò dal bordo della finestra fino al tavolo, e si appoggiò sul libro aperto. Persefone non era spaventata dal falco, gli accarezzò la testa ed il rapace chiuse gli occhi al contatto, con aria soddisfatta. La sua zampa destra poggiava su un piccolo  bussolotto, Persefone guardò il falco incuriosita e lo splendido animale scostò la zampa. Prese il contenitore e lo aprì. All’interno era contenuta una pergamena, la srotolò e riconobbe la calligrafia! In quel preciso istante i ricordi tornarono, quel muro di oblio che teneva prigioniera una parte della sua mente fu abbattuto, e i ricordi rotolarono a lei come le macerie in caduta.
    Lei era una Lancia del Drago! E il suo Taru la stava chiamando!

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    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Empty Re: LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS

    Messaggio Da Gilthanas Mer 10 Feb - 21:15

    Oramai tutto era buio e le torce erano tutte accese. Sulla strada la fioca luce della taverna illuminava di poco il vicolo. Era la locanda del paese, l'unica in pratica. Ritrovo di fabbri, cavalieri, artigiani e porcai. L'unico posto dove poter bere, scambiare chiacchiere e ubriacarsi senza pensare ad altro.

    LORE PRINCIPALE - I MESSAGGERI DI GILTHANAS Unname10
    In un angolo Sir Maurus beveva ridendo ad un tavolo pieno di gente.  Poco vicino a lui in piedi e serio, il giovane Trivroach.
    "Che dice Sir Maurus, sarebbe ora di andare?" disse il giovane cavaliere avvicinandosi all'orecchio del compagno
    "Certo, appeno finisco questa: locandiere! La mia caraffa piange!" urlò Maurus al bancone alle sue spalle in un fragore di risate.
    "Forza Trivo bevi, che la vita è breve, su!" disse Maurus porgendo la caraffa al giovane cavaliere.
    "No grazie, domattina ho il torneo di combattimento a piedi e non posso andare li annebbiato, stavolta devo vincere" rispose con fare ligio.
    "Quando avrai la mia età la penserai diversamente, nel frattempo io berrò anche per te" e così dicendo diede un sorso che neanche un cammello assetato poteva eguagliare.
    "Gilthanas non approverebbe vedendoti qui a bighellonare" si appigliò Trivroach
    "Orecchie a punta non c'è qui, oramai chissà dove sarà, non sappiamo neanche se sia ancora vivo. Ci avrà dimenticati". Rispose Maurus con il rossore in volto senza guardarlo negli occhi.
    Trivo diede l'impressione di indietreggiare. In tanti anni non aveva mai sentito accusare Gilthanas, il capo delle Lance, in quel modo. Non era in sé.

    Trivoroach era molto legato a Maurus, era stato lui a spiegargli i primi rudimenti nell'uso della spada, ad introdurlo alle regole della gilda e al combattimento. Era solo un ragazzino quando gli chiese: "Buongiorno signor cavaliere, mi insegnerebbe a diventare forte come lei?". Un ragazzo così povero non poteva aspirare a diventare un cavaliere, c'era una rigorosa selezione purtroppo, ma Maurus era un Dragonlance e pertanto non negava a nessuno questo futuro. In fondo anche lui divenne cavaliere sul campo di battaglia e non grazie a conferimenti venuti dall'alto. Nello spirito dei Dragonlances c'era proprio questo: saranno le tue gesta a farti chiamare eroe, non i titoli.
    "Certo ragazzo" gli disse per poi aggiungere "prima di tutto però dovrai diventare amico dei cavalli, come puoi diventare cavaliere se non sai parlare con loro e non impari ad ascoltarli?". Così ebbe inizio la carriera del giovane Trivo, come giovane stalliere alle prese di cavalli, strigliature e passeggiate. Poi passò al manichino con la spada di legno, poi allo scudo, sempre di legno e poi ai primi tornei giovanili. Sino ad a quando, un giorno Maurus indossò la sua armatura più splendente e si preparò per partire, lasciando il giovane alle prese con la piccola scuderia:
    "Caro Trivo, purtroppo non posso portarti con me, sei ancora troppo giovane, ma vedi, io sono quello che sono perchè tanto tempo fa ho giurato ad una persona che l'avrei seguito ovunque, e quel momento è arrivato. Vedi questo stemma?" disse Maurus facendogli vedere lo stemma del Drago ucciso da una lancia sulla spallina dell'armatura scintillante, "questo è lo stemma dei Dragonlances, e anche tu forse un giorno potrai diventarlo". Tu prenditi cura dei cavalli, continua con gli allenamenti così come ti ho insegnato, prendi questa spada e questo scudo" e così dicendo Maurus porse al giovane una splendida spada di acciaio e uno scudo pesantissimo. "Allenati e quando ritornerò vedremo se sarai diventato più bravo di me. Devo andare a Merak, mi chiamano. Mi aspettano per una guerra molto importante".
    "una guerra?" Disse Trivo quasi terrorizzato
    "Certo, perchè credi che sia nato un cavaliere? Per fare un torneo con quattro rampolli?" rispose severamente Maurus.
    "No certo, ma quindi anche io andrò in guerra quando sarò grande?"
    "Certo e se saremo fortunati ci andremo assieme".
    A quelle parole il sorriso del piccolo gli illuminò il volto e tutto diventò chiaro nella sua mente. Voleva anche lui un giorno diventare un Dragonlances, un cavaliere del Drago. Si, questa era la sua missione e avrebbe lavorato sodo per diventarlo.
    Maurus partì e stette lontano due lunghi anni. Quando tornò Trivo era ancora giovane ma era molto cambiato. Il tono della sua voce era più duro, le sue spalle toniche e il suo volto delicato era ricoperto da una lieve barba incolta.
    Quando si ritrovarono si abbracciarono come due vecchi amici. Maurus era tornato solo per lui. Non aveva mai avuto grandi legami nè con donne nè con amici. Solo Gilthanas era in grado di smuoverlo ovunque egli fosse.
    "Maurus finalmente sei tornato, così potremo rimettere in sesto la scuderia e allenarci ancora insieme!"
    "Trivo veramente io sono tornato solo per salutarti definitivamente, devo ripartire presto. Sono diretto alle piane di Akarios, in una regione chiamata Poeta. E' una terra tremendamente lontana, e sinceramente non mi sento di lasciarti qui in mia attesa, visto che forse non ritornerò più".
    "Portami con te! Verrò anche io, sono oramai abbastanza grande per combattere". Rispose con il petto in fuori il giovane.
    Maurus in realtà era in conflitto. Da una parte temeva per la sua incolumità, dall'altra si rendeva conto che il suo destino non era quello di marcire in un posto come quello, dove non sei e non sarai mai nessuno. E poi, in effetti, era tornato li aspettandosi una risposta del genere. Sommessamente rispose:
    "Se è ciò che vuoi, non te lo impedirò" e fu in quel momento che Trivo quasi saltò sul posto per la gioia che gli esplodeva in petto.
    "Ma sappi non potrò mettere buone parole per farti diventare una Lancia. Sei tu che dovrai farti accettare. Io ti presenterò a Gilthanas. Solitamente non accetta mai persone così giovani in un esercito. Ma se a lui piacerai e giurerai di applichare i princìpi dei Dragonlances, io non porrò alcun veto. Se è scritto che devi diventare una Lancia, non sarò io ad oppormi."
    "Certo! Vedrai non te ne pentirai".
    Da quel momento il viaggio iniziò e non terminò mai. Trivroach divenne un legionario modello. Combattè al fianco delle Lance nelle terribili guerre degli abissi conquistandosi la stima di tutti, anche la sua. Anni dopo, seguì l'esercito verso le guerre di Auroria sino all'ultimo.
    Anche dopo la partenza di Gilthanas e l'allontanamento dalle Lance, lui e Maurus restarono uniti. Lui si dedicò molto alla conoscenza dell'arte della guerra, imparò a forgiare, si addestrò di continuo e partecipava a qualsiasi torneo gli si presentasse. Imparò a forgiare con le sue mani le spade, studiò e crebbe in ogni sua conoscenza nell'arte di forgiare.

    Quella sera Maurus era in locanda abbastanza avvilito. Sentiva la mancanza di quell'instancabile elfo che inizialmente aveva conosciuto quasi per gioco per mezzo di una guaritrice dispersa nel tempo. Tutto oramai aveva perso di interesse e ridere in una locanda davanti ad un boccale era l'evasione da quel posto dimenticato dal mondo.
    Quella risposta data così a Trivo ferì soprattutto lui stesso. Però oramai era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui vide Gilthanas allonanarsi all'orizzonte. Era ferito, ma non di spada, era ferito nello spirito. Assieme avevano affrontato davvero tanti Draghi. Non era ferito della sconfitta di Calmlands, Gilthanas non era tipo da avvilirsi per quello. A ferirlo furono alcuni suoi fidati, alcuni suoi eletti, alcuni dei suoi ufficiali in cui aveva riposto fiducia. Ma la brama di potere, di denaro, di onnipotenza, l'ingordigia spesso abbaglia anche il più nobile degli animi. Solo il tempo avrebbe potuto sanare quelle ferite, fu per quel motivo che quando disse che sarebbe partito, nessuno lo fermò mentre spariva all'orizzonte.
    Tra le Lance nessuno si prese la responsabilità di prendere il suo posto. In effetti ognuno tra i restanti avrebbe potuto farlo. Ma era strano a dirsi, vedendo il suo posto vuoto, nessuno ci pensò minimamente. Nessuno avanzò di un passo quando ve ne fu la possibilità. Come potevano le Lance esistere senza colui che le ha fondate?
    "Hai sentito cavaliere? La mammina ti ha detto di non bere" disse una voce sconosciuta dal tavolo all'angolo del locale ridendo con un sorriso con due incisivi spezzati.
    Maurus si voltò improvvisamente per identificarlo: era un uomo dalla barba incolta, un po' stempiato e con una ferita da taglio a zeta al centro della testa.
    Maurus non lo riconobbe subito ma aveva compreso che si trattava di qualche suo vecchio conto aperto.
    "Hey sembri serio con quel faccino, sta calmo, bevi, forse è l'unica cosa in cui riesci ancora" disse l'attaccabrighe
    "Rimangiati quello che hai detto" Disse Trivroach sguainando la spada e puntandola alla gola dell'uomo sgradevole. Ma a quel movimento così rapido seguì uno stridìo di lame di altri due suoi scagnozzi che si aspettavano la sua azione che puntarono con le loro lame alla gola del giovane.

    Maurus improvvisamente cambiò espressione. Riconobbe la cicatrice. Era stato lui a lasciargli quel regalo indelebile tanti anni fa quando, in ginocchio e privato dell'arma gli chiese pietà.
    Maurus  si slacciò un sacchetto di monete dalla cinta e lo lanciò al locandiere dicendo:  
    "Prendi queste, stasera offro io. Ho un vecchio amico che mi è venuto a trovare e voglio offrirgli da bere. Ora lo accompagno fuori così gli spiego ancora una volta come si affrontano i veri uomini."
    I due guardarono l'uomo che aveva la spada alla gola che fece un impercettibile cenno di assenso, tutti abbassarono le lame e si incamminarono all'esterno della locanda tra buio e fioche torce.
    Tutti gli altri commensali seguirono la scena accalcandosi alla porta.

    Da un lato della strada si ritrovarono Trivroach e Maurus e dall'altro i tre.
    "E' tanto che non ci si vede Maurus" disse il capo dei tre
    "Piacere di ritrovarti, Zizzìo" rispose.
    A quelle parole Trivroach si voltò rapidamente prima verso Maurus e poi nuovamente verso l'attaccabrighe. L'aveva riconosciuto! Era proprio Zizzio. Lo stesso Zizzio che era stato steso da lui stesso decine di volte in varie occasioni. Lo stesso Zizzio che aveva dato origine a mille aneddoti esilaranti tramandati tra gildani, lo stesso ridicolo Zizzio.
    "Io sono disarmato però" disse Maurus ma anche senza armi posso lucidarti la fronte se ne hai bisogno e far risplendere la tua iniziale sulla testa.
    Quelle parole fecero trasalire Zizzio che urlando si scaraventò verso Maurus che all'ultimo istante della carica si spostò di lato sfruttando la velocità dell'aggressore per farlo cadere con un agile sgambetto. Gli altri due scagnozzi non persero tempo e si buttarono su Trivroach. Trivo però aveva già impugnato la sua spada, si portò velocemente verso uno dei due ed entrò in parata sul colpo del primo investendolo allo stesso tempo con una violenta gomitata sul volto che lo stordí. Il secondo però lo afferrò dai capelli e lo tirò indietro facendolo cadere sulla schiena.
    Maurus intanto a mani nude cercava di intuire la prossima mossa dell'avversario. Intanto dalla porta della locanda urla da tifo accendevano la lotta.
    Zizzio si alzò parlando a voce bassa "Lurido bastardo, ho viaggiato per mesi alla ricerca di te e quelle vili canaglie dei tuoi compari, te la farò pagare una volta per tutte" E con quelle parole si rimise in piedi ripuntando il suo avversario.
    I due si guardarono negli occhi. Maurus sentì l'adrenalina risalirgli nelle vene, tutto sommato ne aveva bisogno. Zizzio riprovò l'affondo ma Maurus questa volta agì di contrattacco bloccandogli il braccio armato e affondondandogli una testata sul naso che scrocchiò all'impatto rompendosi e iniziando a sanguinare copiosamente.
    Maurus quindi disse: "Caro Zizzio, vedo che sei addirittura peggiorato" e sorrise.
    Trivroach intanto si trovava alle prese del secondo scagnozzo. Tuttavia oramai aveva perfezionato molto il suo modo di combattere e i tanti anni di addestramento prima e guerre dopo, l'avevano preparato ad affrontare avversari di calibro nettamente superiore a quello dei due individui. Pertanto il giovane cavaliere non perse tempo. Rimettendosi con  una capriola in piedi, riprese la posizione,  attese la carica dell'avversario, caricò il peso sul lato della spada piegandosi di lato, schivò l'affondo e penetrò la spalla dell'avversario con la lama. I due erano sistemati.
    Maurus attendeva nuovamente la sua vittima preferita come un predatore che ha la preda a portata di mano e pregusta il boccone. Zizzio stavolta non caricò. Attese stranamente. Fu in quel momento che una voce dall'alto del tetto della locanda ruppe il silenzio:
    "Ciao Maurus, era tanto che ti stavamo cercando, sei bravo a scappare" Aliena, la concubina di Zizzio che appariva ogni volta che il fidanzato pativa, apparve dal buio con una balestra carica e puntata verso Trivroach.
    "Sta fermo ragazzo o questi dardi avvelenati ti faranno obbedire per sempre".
    Trivo si fermò immediatamente. Maurus anche. Erano esposti, non poteva rischiare che il compagno venisse colpito.
    "Ahahahah Allora Maurus, ora non ridi più? Cosa c'è, ancora hai energia nelle vene? Dai oramai non hai più l'età, oramai sei carne morta, sei carne morta come Gilthanas e tutte le tue "lancette del drago". E' finita Maurus".
    Poi Aliena urlò: "Andatevene bestiacce!" Tutti si voltarono a guardarla e restarono basiti dalla scena. Due falchi luminosi avevano attaccato Aliena beccandola e graffiandola con gli artigli. Aliena in preda al panico e al dolore lasciò cadere la balestra.
    Un istante e la scena cambiò rapidamente. Maurus si lanciò verso Zizzio assestandogli un montante che quasi fece saltare la vittima dal terreno. Si sentì uno scrocchiare di ossa talmente netto che non era chiaro se era il rumore della mascella di Zizzio o la balestra di Aliena che si spezzava precipitando sul pavimento. Zizzio perse i sensi all'istante e cadde con la faccia sulla polvere e altrettanto fece Aliena cadendo come un sacco di patate sulla strada. I falchi volteggiarono in aria in cerchio, quasi a danzare e silenziosi scesero appoggiandosi uno sulla spalla di Maurus e l'altro sulla spalla di Trivroach. I due si guardarono increduli e sorridenti.  I falchi stridettero nella notte buia, lasciarono la presa sui bussolotti che sia Maurus che Trivo strinsero al volo con il pugno. Lo srotolarono rapidamente e ne lessero il contenuto con avidità.
    Senza dire altro si guardarono in volto e dissero all'unisono:
    "Andiamo".


    Ultima modifica di Gilthanas il Sab 13 Feb - 22:37 - modificato 3 volte.

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    Messaggio Da Scribacchino Sab 13 Feb - 22:17

    Era una notte molto buia nel bosco di Tereynar. La luna mancava e il buio quella sera sembrava quasi tangibile, appesantito dalla pioggia fine che cadeva.  Ma proprio li, a circa venti giorni di marcia dal primo abitato, una casupola divorata da rampicanti di cui quasi non si intravedeva la forma, con un comignolo che fumava confermava la presenza di qualcuno al suo interno. A dire il vero il posto non era sconosciuto alle persone della regione, tramandato di generazione in generazione. Era diffusa l'opinione che in quella zona del bosco vi fosse la casa di una strega. Tale convinzione era così diffusa che quando in paese ci si riferiva a quella precisa area del bosco si soleva nominarla: Kuruni, l'orto della strega. Ogni anziano raccontava di aver appreso dal rispettivo nonno di quella presenza. Alcuni parlavano di una strega millenaria che viveva li ma probabilmente la stessa abitazione era stata occupata da persone diverse che si erano susseguite nel tempo in un infinito passaggio di consegne.
    Quella zona era ricca di fauna selvatica che giustificava la presenza di varie famiglie di lupi. Questo fungeva anche da deterrente per eventuali spedizioni di curiosi. In effetti quel territorio non era idoneo alla vita di solitudine in una zona lontana da tutti, priva di sentieri e costantemente minacciata da branchi di lupi, non idonea soprattutto per una fanciulla. Era questa la parte del racconto che spaventava di più i bambini mentre ascoltavano per l'ennesima volta narrare di quel posto. Solo una persona fuori dal normale avrebbe potuto sopravvivere. Solo una persona con qualche capacità o potere speciale, indubbiamente. Ecco perchè si faceva riferimento alla stregoneria che era l'unica cosa che poteva spaventare anche la più pericolosa tra le creature.
    Un lieve canto si udiva provenire da quella piccola casetta. Un canto delicato dalle parole non comprensibili, quasi un rito. Una filastrocca musicale senza note tanto melodica quanto terrificante in un posto del genere. Jura stava intonando le parole di un antico rito che le aveva insegnato la sua mentore Marion. Il testo era breve ma in poche strofe riusciva ad esprimere quello che voleva essere il suo strano significato cinico, tipico da strega:

    Quando il drago sta morendo
    sbrigati e raccogli il suo sangue caldo
    il suo cuore batte ancora perché vuole rialzarsi
    ma se lo farà di te vorrà saziarsi
    allora ringrazialo e accarezza la sua ferita
    raccogli la sua linfa e falla finita

    Il calderone sobbolliva nel camino sul fuoco ardente e un odore dolce ma pungente inondava gli spazi della casa. Un turibolo fumante di incenso aromatizzava ancora di più l'aria rendendola quasi irrespirabile per una persona non abituata a quegli odori. Lei era li, affaccendata come al solito, vestita da cenci scuri presa da faccende difficili da spiegare. Una strega veniva proprio etichettata in quanto tale perchè si dedicava proprio a queste faccende. Questo però fungeva da stimolo che le spingeva ad isolarsi per potersi dedicare alle oscure conoscenze, avvicinate magari da un'altra strega. Il percorso di un mago era differente: la magia bianca la si apprendeva spesso con un percorso di studi quasi accademico che poi affinavi con un percorso di crescita personale. La stregoneria invece aveva basi diverse, più occulte, tramandate da una strega all'altra, non certo da un istituto. Anche streghe e stregoni avevano i loro testi, ma apparivano più come dei ricettari e appunti di sperimentazione. Alcuni aspetti erano comuni come quelli legati alle tecniche di incanalamento dell'energia o alcune modalità di concentrazione. Il resto invece era molto diverso, talvolta contrapposto anche se mirato ad ottenere il medesimo risultato. Per bruciare un albero un mago avrebbe puntato sul concentrarsi sull'energia degli elementi per poi incanalarli al momento giusto contro il suo obiettivo. Una strega avrebbe fatto lo stesso ma avrebbe bruciato l'albero dal suo interno, assorbendone la vita e riducendolo ad un tizzone ardente.  In realtà la stregoneria è più vicina alla branca di magia che ti porta a diventare poi un curatore, arte magica che spiega come focalizzarsi sull'essenza vitale dell'obiettivo al fine del rinvigorimento. La stregoneria ha lo stesso target ma con il fine di deteriorare quell'essenza vitale. Jura aprì una gabbietta di legno e ci infilò una mano per farci arrampicare un piccolo topolino bianco. Lo tenne poi fermo nel suo pugno e richiuse la porticina con delicatezza. Si spostò verso il trespolo del suo Karura, il bellissimo gufo reale addomesticato, gli accarezzò dolcemente la testolina e gli porse il piccolo topolino bianco avvicinandolo agli artigli.
    "Tieni piccolo mio, la tua cena è servita, non fartelo scappare e buon appetito".
    In un istante il topolino venne ucciso con un colpo netto di becco che gli sfondò il piccolo cranio. Il gufo iniziò quindi la sua meticolosa opera di preparazione della sua preda prima di cibarsene definitivamente.
    Jura aveva seguito con ingordigia tutti gli insegnamenti tratti dai suoi libri e negli anni aveva saputo gestirli con molta attenzione soprattutto dopo quell'ultima, tragica volta, in cui si lasciò sopraffare dai suoi stessi poteri ferendosi per sua stessa mano. Da quel giorno tutto diventò difficile: i suoi timori di sbagliare, la sua tenacia e sicurezza vennero meno al punto che decise di lasciare i suoi compagni, coloro che con lei avevano condiviso periodi duri e vittorie. Partì di notte, senza dare spiegazioni a nessuno e da quel giorno non ebbe più niente a che fare con le Lance. Salì sul suo cavallo nero e partì al galoppo senza una vera meta, cercando di non lasciare alle sue spalle alcuna traccia. Vani furono i tentativi di ritrovarla, in realtà inizialmente nessuno capì il motivo della sua dipartita e non venne avviata alcuna ricerca. Ora però qualcuno o qualcosa era sulle sue tracce, un flebile segnale della sua presenza  non poteva essere nascosto a chi seguiva le tracce con un fiuto magico che prescindeva da ogni distanza o percorso.
    D'un tratto Karura cominciò ad agitarsi e sbattè le ali nervosamente. Contestualmente alcuni corvi all'esterno gracchiarono confermando il disagio.
    "Cosa c'è? Cosa stai avvertendo?" disse Jura cambiando espressione. Anche lei avvertì una presenza. Si coprì con il mantello, impugnò un bastone che immediatamente prese vita illuminandosi ed uscì. All'esterno non vi era nessuno, silenzio e buio avvolgevano il bosco.
    "Chi c'è? Chi va la?" Urlò Jura. Una flebile luce azzurra sembrava provenire da un albero poco distante.
    Alzò sulla testa il bastone ed illuminò l'area davanti a se. Vide un falco su di un grosso ramo che sporgeva dalla quercia più vicina alla casa che la guardava fissa. "Un messaggero?" pensò, facendosi una domanda dalla risposta scontata. Impossibile, nessuno poteva sapere che era li. Solo una grande magia avrebbe potuto trovarla o forse il messaggio non era per lei e si trattava di un errore. Ma quegli esseri magici non sbagliavano mai. Come poteva essere? Il falco spiccò silenziosamente in volo appoggiandosi per terra vicino ai suoi piedi, quasi a voler dimostrare la sua vulnerabilità. Jura si chinò e raccolse il bussolotto portato dal falco. Sul cuoio inciso a fuoco c'era un nome. Non era possibile. Non aveva utilizzato quel nome oramai da anni. Nessuno del posto poteva conoscerlo nè chi la conosceva con quel nome poteva averla raggiunta, nessuno, tranne una persona. Una sua antica conoscenza. Si, non poteva essere che lui. Un elfo. Gilthanas. A ripensare a quel nome quasi tremò sentendo riaffiorare decine di emozioni allo stesso istante. Le lacrime scesero sul suo volto copiosamente, la strega cadde sulle sue ginocchia e con la sua voce sopraffatta dal pianto disse: "Heruamin... Taruamin, Kaalan im" .
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    Messaggio Da Scribacchino Dom 14 Feb - 20:03

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    Il ghoul era nei pressi del torrente per bere e tirava dietro di se la carcassa di un grosso cervo maschio. Dalla pelle grigia, lo sguardo luminoso e la bocca che lasciava trabordare liquido scuro viscido, i ghoul erano antichi uomini erosi dalla maledizione di uno stregone. Anathar era nascosto proprio dietro il grande sasso muschiato alle sue spalle e attendeva nel silenzio puntando con il lungo fucile il suo obiettivo per valutare la distanza.  Oramai aveva capito che per uccidere non era importante sparare tanti colpi ma colpire i punti giusti. Già prefigurava il proiettile che sarebbe penetrato tra la scapola e il torace sfondando il cuore di quell'essere. Attendeva il momento opportuno. I ghoul sono esseri molto irrequieti e se colpiti non a morte, diventano ancora più pericolosi. Un loro graffio o morso procura quasi sempre infezioni gravi.
    Le armi da fuoco erano state da sempre la grande passione di Anathar. Fin da bambino aveva dato segnali di questa propensione naturale. Il suo stesso soprannome, Anathar appunto deriva da un aneddoto tanto buffo quanto particolare. Un giorno il vecchio Bishoz, proprietario della fattoria ad est del villaggio, si presentò da loro reclamando un credito che avanzava nei confronti del padre. In casa le cose non andavano così bene e non vi era possibilità alcuna di soddisfare la sua richiesta. Bishoz su tutte le furie afferrò la loro anatra da giardino per il collo urlando: "Prenderò questa solo per ripagarmi degli interessi, non mi fate perdere ancora la pazienza".
    Lui era nascosto nella sua stanza ma sentì tutto. Senza farsi notare recuperò la vecchia pistola a pallettoni che il padre conservava in soffitta, la caricò e andò di soppiatto alla fattoria di Bishoz per fargliela pagare. Quando il vecchio si chinò per raccogliere il secchio, il ragazzo fece fuoco facendolo saltare di almeno un metro da terra per il dolore. I pallettoni si incastrarono nella carne del suo fondoschiena. Il ragazzo saltò lo steccato, riprese l'anatra di famiglia e la riportò a casa sana e salva. Il povero fattore per settimane ebbe difficoltà a sedersi e presto le ferite fecero infezione e morì.
    Forse era il profumo della polvere da sparo a dargli quell'ebrezza oppure l'emozione dell'esplosione. Fatto sta che nel tempo affinò sempre di più la sua maestria divenendo abile e temibile. Poi partì per Igginson per farsi reclutare tra gli elyseiani e fu li che divenne una Lancia. L'amore per la meccanica di quegli aggeggi, la voglia di combattere e l'energia delle altre Lance l'avevano accompagnato in quegli anni. Quando fu il momento di lasciare Auroria decise che non era tempo per smettere di combattere e viaggiò per le terre come un cacciatore. Le sue prede però erano tutte queste creature infestanti che opprimevano villaggi e famiglie sparse per le varie terre. Ora si trovava a Nerem, terra minacciata da un terribile Ghoul che spesso rapiva abitanti che divorava nella sua tana. Ora quel Goul era a portata di Tiro, più o meno a quaranta metri e non poteva sbagliare. Infilò il proiettile di piombo avvelenato che aveva egli stesso fabbricato nella canna dell'archibugio, versò della polvere da sparo nello scodellino laterale e lo richiuse. Quindi pressò tutto con  un'asticella e caricò la serpentina a forma di drago. Accese la miccia lenta in attesa dell'impatto mirando con attenzione e trattenendo il fiato per ridurre al minimo le vibrazioni.
    Quando la miccia venne a contatto con la polvere da sparo un'esplosione fece partire la palla di piombo in una nuvola di fumo. Il ghoul istantaneamente si voltò verso di lui con un'espressione di sorpresa ma non fu in grado di evitare il colpo che penetrò il suo torace. L'essere mollò la presa, emise un urlo di maledizione verso Anathar ma un fiotto di sangue blu fuoriuscì dalla sua bocca strozzandone il suono.
    "...e anche questo è sistemato" disse Anathar con soddisfazione alzandosi e avvicinandosi alla vittima inerme. Il giovane estrasse una lama dalla cintura e tagliò un artiglio della belva come prova dell'avvenuta uccisione  e la avvolse in un piccolo rotolo di pelle.
    "Era la mia preda" disse una voce alle sue spalle.
    "Chi va là?" disse Anathar balzando su stesso e brandendo la lama verso l'origine della voce.
    In alto su di un albero, con il sole alle sue spalle, non era possibile distinguere il volto dell'individuo per quanto ci stesse provando stringendo gli occhi.
    "Non fare smorfie altrimenti sembri ancora più brutto, Anathar" disse la voce.
    "Come fai a conoscere il mio nome?" ribattè preoccupato.
    "E come si può dimenticare un nome così ridicolo?"
    Anathar indietreggiò cercando di trovare una prospettiva migliore per identificare l'uomo misterioso.
    "Certo che non sei cambiato affatto, tanti anni di battaglie assieme dagli abissi al mare e ancora non riesci a stare attento alle tue spalle".
    A questo punto capì che era  sicuramente un suo conoscente, anzi era sicuramente un suo compagno d'arme. L'individuo scese dai rami con velocità ed eleganza e con una capriola finì davanti a lui. A questo punto capì che era  sicuramente un suo conoscente, anzi era sicuramente un suo compagno d'arme. L'individuo scese dai rami con velocità ed eleganza e con una capriola finì davanti a lui. Non appena si tirò su una maschera sorridente che gli copriva il volto capì subito e un enorme sorriso gli riempì il volto.
    "Giullare!" disse Anathar allargando le braccia e spostandosi verso di lui.
    I due si abbracciarono fraternamente.
    "Ma cosa ci fai qui?" chiese.
    "Vengo a prendere un amico che altrimenti avrei perso per sempre. Tieni, questo è per te." disse Giullare lanciandogli un bussolotto.
    "Io ero più a nord, non troppo lontano da qui, vicino alla palude maggiore accampato quando ho visto due bellissimi falchi viaggiare assieme. Si sono fermati ambedue su un albero millenario. Non potevo farmeli sfuggire.... ho sparato ad uno dei due e l'ho stecchito. L'altro mi è venuto addosso graffiandomi ripetutamente" - disse Giullare mostrando la mano martoriata da cicatrici - "e mi ha consegnato un messaggio del capo, Gilthanas che ci chiama all'adunata. Ero contento del messaggio, non vedevo l'ora che l'elfo si svegliasse un po', però poi ho pensato di aver ucciso forse un falco con un messaggio non destinato a me...e infatti sotto la sua carcassa, ancora stretto nei suoi artigli c'era un bussolotto con il tuo nome".
    "Ma! Hai stecchito il mio messaggero!"
    "Eh si, che ne potevo sapere io..." - "però se i due falchi viaggiavano assieme allora ho cercato di capire dove fosse diretto e ti ho seguito. Onestamente non sei ancora bravo a nascondere le tue tracce, te lo dico fraternamente".
    Anathar sorrise e aprì la piccola pergamena. Lesse tutto, voltò il foglio per vedere se c'era dell'altro. Poi disse:
    "Il primo porto non è vicino, dista non meno di trenta giornate di viaggio. Dovremmo partire alla svelta se vogliamo raggiungerlo".
    "Certo, ora però torniamo al villaggio, il mercante a cui ho chiesto informazioni su di te mi ha detto che sta preparando una carovana di merci e bestiame verso nord, proprio per il porto di Elvenar. Se non mi fai perdere altro tempo possiamo raggiungerlo e chiedere un passaggio. Certo arriveremo che sapremo un po' di piscio di stalla, ma tutto sommato a te non cambierebbe molto" e lo guardò sorridendo.
    I due si avviarono verso il villaggio tagliando per il fiume. Camminarono raccontandosi aneddoti e piccole grandi storie vissute ripercorrendo tutti i periodi assieme. In loro si consolidò la voglia di ritornare a combattere e di veder sventolare ancora una volta quel drago ucciso dalla Lancia che tanto avevano onorato nel tempo.
    Arrivati in paese trovarono i carri già pronti, circa una decina. Anathar barattò la sua ricompensa per la taglia con un passaggio con vitto sino a destinazione più una cassa di polvere da sparo e piombo che sarebbe servita per tutti e due.
    "Ora rilassiamoci e godiamoci il viaggio" disse Giullare stendendosi su una catasta di canapa con le mani incrociate dietro la testa.
    "Si, va bene. Ma ti avverto: glielo dici tu a Gilthanas che hai ucciso uno dei suoi falchi."
    I due risero fragorosamente pensando all'elfo irritato ancora e il viaggio ebbe inizio.
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    Messaggio Da Gilthanas Mar 7 Set - 18:55

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    Messaggio Da Kelso Lun 4 Ott - 16:30

    Il sole ormai a mezzodì illuminava ogni scorcio della città ed accompagnato da fragorose grida provenienti dal mercato cittadino riempievano all'unisono anche la più stretta delle vie.
    Un uomo trovava difficoltà a riprendere coscienza di se stesso dopo una notte agitata ed offuscata dallo stantio profumo di alcool sui propri vestiti.
    Dopo qualche minuto passato steso per terra con un braccio che copriva gli occhi stanchi, l'uomo, decise di alzarsi ed aggiustarsi le vesti per quello che gli era concesso.
    Calzoni larghi ed una camicia di qualche taglia più grande coprivano un corpo robusto e massiccio.
    Una barba poco curata e dei lineamenti forti sul visto sottolineavano la durezza dei comportamenti e della poca socialità che mostrava agli altri.
    Prese un accetta da qualche metro di distanza e la inserì in un porta spada appesa alla cinta accanto a qualche scarsella di cuoio ormai color fango.
    Iniziò ad incamminarsi verso la foresta scura che separava la città dai monti ferrosi.
    Lungo il cammino svariati cenni col capo e qualche risata accompagnava l'andamento lento e trascinato dell'uomo.
    Giunto nelle profondità della foresta estrasse la propria arma e cominciò a battere l'albero colpo su colpo, come se stesse seguendo un ritmo di una melodia tutta sua.
    Non ci volle molto prima che il primo albero cadde sotto i colpi dell'ascia.
    Senza fiatare degli uomini si avvicinarono per spostare grazie a delle corde spesse e ad un sistema di carrucole il tronco ormai accasciato.
    Cosi continuarono per ore fino a quando la luce del sole non smise di penetrare tra le fronde degli alberi e l'ombra prese il sopravento della foresta.
    I taglia legna tornarono in città quando ormai le fiaccole e le lanterne illuminavano le vie creando dei meravigliosi quanto paurosi giochi di ombre.
    L'uomo si recò in taverna dove uno sguardo felice, degli occhi brillanti e dei capelli rossi lo accolsero <>.

    Finalmente l'espressione dell'uomo cambio in quello che forse pochi uomini avevano visto in città, un sorriso sincero.
    Mentre la donna serviva i tavoli l'uomo non le staccava mai gli occhi di dosso e questo sembrava piacesse alla donna e le donasse sicurezza dagli avventurieri.
    La serata passò serena e tranquilla nella taverna e i due parlarono molto e di ogni genere di argomento.
    La taverna stava per chiudere quando la donna invitò l'uomo a casa propria offrendogli una doccia calda e della compagnia.
    Una grossa tinozza piena di acqua riscaldata sul fuoco levava la polvere dalle mani dell'uomo scoprendo tagli e schegge di legno che la donna con cura levò.
    La donna raccontò a Kelso di come lei lavorasse lontana da casa perché nella sua città natale le donne non venivano trattate adeguatamente e lei voleva risparmiare quanti più soldi possibile per permettere alla madre ed alla sorella minore di trasferirsi da lei.
    La notte passò serena e ,di buona lena ,i due si svegliarono e si recarono presso i propri lavori per poi riunirsi per passare assieme la notte.
    Le settimane seguenti videro un cambiamento estetico dell'uomo grazie alle mani dolci della fanciulla.
    Quello che una volta era un trasandato e non curato taglia legna ora vestiva abiti puliti e portava una barba lunga ma curata.

    Era un giorno come gli altri quando uno degli taglia legna informò gli altri di come un enorme galeone era pronto per partire il giorno seguente in direzione di una terra non conosciuta e che avrebbero provveduto al sostentamento delle famiglie degli uomini volontari alla partenza.
    Quel giorno Kelso tornò alla città prima del calare del sole e si recò in taverna di tutta fretta.
    "SPOSIAMOCI" esclamò non appene le porte di legno della taverna si aprirono e la donna senza alcun dubbio salto tra le braccia dell'uomo.
    Quella sera stessa i due si sposarono e festeggiarono in taverna tra qualche boccale di birra e dello stufato accompagnato dall'arrosto.
    Il giorno seguente la donna si sveglio e dell'uomo non trovo traccia se non una lettera sul proprio cuscino.

    "A te che hai portato vita in un cuore ormai spento,
    giuro fedeltà e devozione.
    Tornerò dalla nuova terra e realizzerò ogni tuo sogno.
    Tuo

    Kelso"


    Alle prime luci dell'alba il porto brulicava di pescatori intenti a scaricare le proprie navi e di gente carica di speranza.
    Una camicia bianca senza alcun macchia, un pantalone di cotone grezzo color marrone, degli stivali di cuoio neri ed una cinta con qualche scarsella ed un accetta era tutto ciò che l'uomo mostrava.

    "COLORO CHE VOGLIONO SALPARE PER L'ISOLA DI AETERNUM SI PREDISPONGANO IN FILA E SE VIENE STABILITA LA VOSTRA IDONEITA' AL VIAGGIO FARETE PARTE DI UNA DELLE PIU GRANDI SPEDIZIONI CONOSCIUTE NELLA STORIA."

    Svariati minuti dopo Kelso si trovata sul ponte della nave appoggiato ad un corrimano di legno intarsiato e color mogano. Lo sguardo volto verso quello che era il fumo proveniente dalla propria casa e con il cuore pieno di speranze.
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    Veravoce


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    Messaggio Da Veravoce Ven 29 Ott - 14:29

    7... 8 ... 9... 10... Li contava tutti ... 11 ... era qualcosa che faceva sempre sin da bambino, gli veniva naturale, lo aiutava a tenere la mente impegnata ed allo stesso tempo concentrata sul quello su quello che stava facendo... 12 ... come alla forgia, contava ogni sigolo colpo dato sul ferro rovente, senza mai sbagliare o perdere il conto mentre il sudore gli gocciolava dalla testa calva seguendo i solchi che il tempo aveva tracciato sul suo stanco volto, le fatiche di una vita riassunte nel gesto semplice, ripetitivo, ipnotico del battere il ferro... 13... ma da tanto sudare riusciva a creare meraviglie, dopotutto lui era mastro Veravoce. Le sue spade erano richiestissime ... beh almeno fino a quando non iniziarono ad arrivare dall'est voci di queste nuove terribili armi, fucili e cannoni e tutto stava cambiando in fretta, troppo in fretta per la sua età...14...anche adesso era mavido di sudore ma per il passo veloce ed il terrore che gli sferzava il cuore perché nonostante si trovasse quasi dalla parte opposta della città riusciva sentirli chiaramente, anche se attenuati dai labirintici vicoli, lo scoppio della polvere ed il fragore della palla che si abbatte inesorabile sulle mura della città, è questo ciò di cui sta tenendo il conto, ciò che teme e fugge. Quanto potevano quelle stanche mura, veterane d'innumerevoli battaglie, reggere i colpi di cannone? Questo lui non poteva saperlo, l'unica cosa che poteva fare era contare... 15.

    La città sarebbe caduta lo sapevano tutti, le strade erano deserte la gente chiusa in casa pregava un dio sordo alle loro paure ed alle cannonate degl'invasori, servi di altri dei, che già pregustavano una notte di stupri e saccheggi. Doveva raggiungere al più presto la porta ad ovest, quella usata dai cacciatori per procacciare il cibo necessario a resistere all'assedio, espediente utile in passato ma che la rapidità distruttiva delle bombarde nemiche rendeva... obsoleto, poi lì bastava corrompere le guardie con l'oro che teneva stretto in mano, in un borsello di pelle d'agnello e sarebbe finalmente fuggito lasciandosi alle spalle la città morente e l'inferno che l'attendeva.

    Lui a quella città aveva dato tutto persino un figlio, morto pochi giorni prima in un disperato attacco contro quell'esercito in marcia che ora è accampato oltre le mura, le aveva dedicato tutta la sua vita e la sua maestria ma ora vecchio e stanco non gli restava nulla da difendere. Aveva anche pensato di farla finita sarebbe stata un'uscita di scena degna "meglio che essere sgozzato da quei bastardi" s'era detto "trafitto dalla lama di una spada forgiata da me, è così che voglio morire" lo ripeteva spesso tra un bicchiere di vino ed una risata all'osteria ma quando si trovò davvero con la lama in mano non riuscì a farlo. Ripensò alla sua fanciullezza ed ai sogni di gioventù, la mamma che gli raccontava delle storie di eroi per farlo dormire, di quando s'innamorò di sua moglie e quando nacque suo figlio. Scoppiò in un pianto disperato lasciandosi scivolare la spada scintillante dalle dita, ed ormai esausto dal turbine d'emozioni che l'aveva travolto cadde esanime ma semicosciente... sognante ... perso nei ricordi... quando uno di essi in particolare gli rimase impresso e lo destò dal torpore.

    Si ricordò dell'incontro con un viaggiatore sedicente "cavaliere del drago della lancia" o qualcosa del genere, s'era fermato alla forgia per delle riparazioni, diceva d'essere in partenza per raggiungeree il suo signore che lo aveva convocato insieme a tutte le lance sparse per "i mondi" attraverso le sue aquile magiche, lui e i suoi compagni erano diretti su un'isola magica dove la morte non può prenderti, dove si può vivere in eterno. "Un racconto di un pazzo ... aquile magiche... isole dell'immortalità... roba da favole della buonanotte o della messa della domenica" s'era detto. Ma ora mentre la morte bussa alle porte della città, con nocche di ferro che sanno di zolfo e polvere da sparo, si ritrova disperato a rincorrere il sogno di un folle vinandante incontrato per caso, verso una meta forse inesistente di cui conosce solo il nome... Aeternum.

    "Ma che stò facendo..." esitò, si appoggiò ad un muro anche per riprendere fiato, alla sua età aveva acciacchi di ogni tipo e la fredda notte certo non aiutava. "forse dovrei torn..." ...16... "No!" e si rimise a camminare ancora più velocemente quasi a correre verso l'uscita "se l'unica cosa che può salvarmi la vita è la magia allora crederò nella magia, quel viandante ...emh lancia di un drago, certo aveva un aspetto esotico e le monete con cui mi ha pagato poi? D'oro puro per carità ma non ne avevo mai viste di simili e con quelle scritture incomprensibili" ne estrasse una dal borsello d'agnello per guardarne gli strani simboli ed il volto di quello che doveva essere un qualche re straniero... pensò. "Che esistano veramente altri mondi? Mondi magici, incantati, dove tutto è possibile persino ingannare la morte? Possibile che quello straniero... lancia di drago, venisse veramente da uno di questi mondi?". Mise la moneta nel taschino della giacca quando sentì un leggero tonfo lontano ormai era troppo distante per distinguere le cannonate e smise di contare. "Sono sempre rimasto chiuso nell'abbraccio materno di queste mura per tutta la vita ma ora che stanno per crollare sento che devo fuggire, ad ogni costo".

    Raggiunse la porta ma con suo grande stupore vide non solo che il cancello era aperto ma anche che non era l'unico a volersi salvare, ne contava almeno 2 dozzine, terrorizzati, con gli occhi spalancati come topi che scappano confusamente da ciò che prima chiamavano casa e che ora vedono come una trappola.
    "Chissà quanti ne sono già fuggiti per questa porta, primi tra tutti le guardie che dovevano difenderla... come biasimarli". Una volta uscito sarebbe bastato scavalcare la collina per raggiungere il porto ma mentre scalava faticosamente, aggrappandosi alle fronde degli ulivi per darsi sostegno, senti uno scoppio alle sue spalle ed il sibilo d'un proiettile che gli sembro sfiorare l'orecchio sinistro ...1.

    A sparare era probabilmente un ricognitore nemico mandato a perlustrare le mura che senza esitazione aveva aperto il fuoco su dei civili in in fuga. Conosceva bene l'arma del nemico, lord Altamir gliene aveva portata una per farla esaminare, era ancora sporca del sangue del proprietario e dei giovani sacrificati per recuperarla, tra i quali suo figlio. "Vi prego mastro Veravoce, siete l'unico che può capirci qualcosa di queste diavolerie, sentite come puzzano di zolfo se necessario fatele benedire. Il re aspetta un resoconto al più presto per capire come difenderci". Ad una prima occhiata capì subito che non c'era nessun bisogno di portarla dal chierico, nonostante non avesse mai visto nulla di simile, quel fucile era ingegnoso ma capirne il funzionamento era abbastanza semplice, egli stesso aveva costruito, per i signori locali, orologi e calendari meccanici molto più complessi. Per farlo funzionare bastava tirare una piccola leva per azionare un martelletto che con uno scatto copisce il retro del proiettile che genera un boato e una pallina di piombo viene lanciata attraverso un tubo d'acciaio, questo per 4 volte dopodiché bisogna aprirla, rimuovere i proiettili usati e mettercene di nuovi, un arma semplice ma formidabile.
    "FERMI!" ...2... vide una giovane donna cadere nell'erba alta a pochi metri, la sentiva gemere dal dolore mentre cercava di trascinarsi al riparo, lui era nascosto dietro un ulivo e stava raggomitolato per farsi più piccolo possibile quasi senza respirare, terrorizzato ed impotente guardava la donna strisciare verso di lui e il provvidenziale albero... 3 ... a cadere questa volta era un vecchio che come lui si era attardato sulla collina per l'età avanzata. Sentì i passi del soldato che rideva divertito dall'inaspettato intrattenimento durante una ronda altrimenti noiosa, si avvicinava alla donna a terra. Era immobile e adesso lo stava guardando con gli occhi pieni di una disperata richiesta d'aiuto che non avrebbe avuto risposta, ora che s'era fatta più vicina la riconobbe, era bella figlia del fattore, anche lei voleva fuggire cercava disperatamente di salvarsi dall'atroce destino che quella notte sciagurata serbava per lei e per le ragazze della sua età, il suo respiro affannato era interrotto solo da brevi gorgoglii che ingrossavano i rivoli di sangue ai lati della bocca probabilmente quella piccola pallina di piombo le aveva perforato un polmone... "Che peccato dolcezza ti sei persa la festa" disse il soldato toccandosi vistosamente i genitali mentre le puntava il moschetto... 4.

    Per un attimo tenne gli occhi chiusi nel vano tentativo di cancellare dalla mente quel volto, quegli occhi quello sguardo che gli aveva scrutato l'anima codarda... ma ora non c'era un attimo da perdere! Fece scivolare giù dalle spalle il pesante zaino che aveva accuratamente preparato per il viaggio, lascio cadere il borsello di pelle d'agnello colmo di  monete d'oro e corse su per la collina il più velocemente possibile come faceva da bambino, senza sentire acciacchi, senza sentire dolore, senza ripensamenti, senza guardarsi indietro, di corsa alla ricerca di Aeternum e delle Lance del Drago.


    ... continua

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